Il Bambino come Prodotto
Non c’è miglior investimento per qualsiasi comunità che mettere del latte dentro i bambini. (Winston Churchill[1]) [1bis]
Proletario significa letteralmente produttore di prole.
Se il proletario è un produttore di prole, il bambino, la prole, è un prodotto. In quanto prodotto il bambino può essere prodotto, venduto, acquistato, affittato, distrutto o comunque abbandonato.
La fase finale della produzione, la messa in strada per così dire, viene affidata nei paesi occidentali a ditte specializzate pubbliche o private ed in caso di prodotto fallato per responsabilità della ditta, il proletario produttore ha il diritto di chiedere un risarcimento[2], tanto più grande quanto meno il prodotto potrà essere immesso sul mercato e dovrà invece essere mantenuto a proprie spese.
In caso di prodotto difettoso all’origine o comunque in tutti i casi in cui si voglia disconoscerne la proprietà, il proletario ha il diritto di lasciare il prodotto alla ditta incaricata di metterlo in strada: trasferito ai competenti organi pubblici il prodotto entra nel “sistema” assistenza pubblica. Nei paesi in via di sviluppo la messa in strada è più artigianale ed ancora non è prevista la possibilità di risarcimento in caso di danno al prodotto.
Sempre nei paesi occidentali e comunque sviluppati, il commercio del bambino riguarda solo il prodotto intero, mentre nei paesi dove i controlli di legge sono minori, il prodotto può essere venduto a pezzi.
Nel dimostrare queste tesi non è importante stabilire se siano morali o meno, quanto se esse corrispondano a ciò che realmente accade. A questo scopo ripercorriamo l’evoluzione che il termine proletario ha subito nel corso del tempo.
Nel periodo del cosiddetto “sessantotto” [3] il termine proletario era sinonimo di tutto ciò che è buono. Esso si contrapponeva al termine capitalista considerato l’incarnazione del male.
Peggio di tutti era il termine sottoproletario,
ad indicare un essere indefinito, una specie di “senza casta” dell’antica società indiana, tanto più che, non di rado, il sottoproletario si alleava con il capitalista ai danni del buon proletario.
Nel corso degli anni i capitalisti, protagonisti di famose telenovele, sono diventati gli idoli delle casalinghe, mogli dei proletari. Per fare ciò hanno preferito cambiare nome ed adesso tendono a farsi chiamare imprenditori; in quanto tali alcuni di loro aspirano al ruolo di “maître a penser”[4].
Il proletario, apparentemente scomparso, se non altro dal punto di vista culturale ed ideologico, in realtà continua ad esistere e fare quello che ha sempre fatto e da cui deriva il suo stesso etimo[5]: produrre figli.
L’attività produttiva del proletario non è evidente in occidente, dove ad esaltare i valori “cristiani” del produttore di prole rimane solo la Chiesa. Nei paesi del terzo mondo o comunque emergenti la funzione produttiva del proletario è attivissima: quanto più è povero, analfabeta, quanto più manca di qualsiasi altro mezzo di produzione, tanto più il proletario utilizza gli unici a sua disposizione: quelli dell’apparato riproduttivo.
La produzione di umani continua incessantemente giorno e notte, con la fame e gli uragani, la siccità e la guerra, le alluvioni e i terremoti al ritmo di 253 al minuto, più di quattro al secondo; il prodotto di tale industria, oltre a rappresentare l’unico sostentamento dei suoi produttori, si trasforma in un commercio fiorentissimo su cui lucra una piramide intera di individui.
Quanto più una società è povera tanti più bambini produce. Questi ultimi rappresentano subito l’unica possibilità di sopravvivenza di quella società e passando di mano in mano crescono di valore aggiunto rappresentando una vera ricchezza anche per l’occidente.
Esaminando i vari esempi di industrie legate alla produzione di umani, si possono analizzare in profondità cause e conseguenze del fenomeno.
[1] Statista e primo ministro inglese. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu uno degli artefici della vittoria dell’Inghilterra. Famoso per il sigaro perennemente pendente dalle labbra ed il gesto dell’indice e del dito medio a V, ad indicare appunto la vittoria.
[1bis] L’Education Act, legge inglese del 1944, forniva pasti gratuiti e latte – un terzo di una pinta al giorno – nelle scuole per tutti i bambini al di sotto dei 18 anni Nel 1968 il governo di Harold Wilson laburista ritirò il latte gratuito dalle scuole scuole secondarie. Nel 1971 Margaret Thatcher (allora Segretario di Stato per l’Istruzione) ha ritirato il latte gratuito nelle scuole per bambini sopra i sette anni, guadagnandosi (tra i suoi nemici) il soprannome, ‘Thatcher, la rapinatrice di latte ‘.
[2] Leggendo la richiesta di risarcimento inviata da un avvocato italiano all’assicurazione di una di queste ditte (un ospedale della provincia di Roma) salta immediatamente agli occhi il carattere di prodotto del nascituro e l’aspetto economico della sua produzione. In carattere ottocentesco, vengono elencate le voci di risarcimento: per il padre 250 mila euro per danno biologico statico e dinamico, 130 mila euro per danno biologico riflesso, 130 mila euro per danno morale; per la madre 250 mila euro per danno biologico statico e dinamico, 130 mila euro per danno biologico riflesso, 130 mila euro per danno morale, 60 mila euro per danno alla salute. Tutto ciò assomiglia moltissimo ad una nota spese relativa ad un prodotto fallato.
[3] Processo a finalità rivoluzionaria che prendendo spunto dalle precedenti rivolte studentesche, americane e francesi, durò in Italia dieci anni e inglobò sotto l’egemonia ideologica marxista i movimenti hippy, studentesco, sindacale, femminista ed autonomo. In quell’epoca il riferimento era il proletariato, mentre il neomarxismo rivoluzionario attuale parla di moltitudini, cioè dei poveri e degli emarginati di tutto il mondo. (F. Alberoni: Proletariato addio, ora ci occupiamo di “moltitudini”. Corriere della Sera 13 agosto 2001).
[4] Maestro di pensiero o, con termine attuale abusatissimo, opinionista.
[5] Origine-significato di un termine.
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