# 66 La Tratta Delle Bianche
La Tratta delle Bianche (e di altri Colori)
Lunghi anni di regime comunista hanno generato in alcuni paesi larghe masse di proletari, di nessun’altra produzione capaci se non di prole. Sovrabbondando il prodotto, il prezzo di una “giovane donna” è molto basso, per cui in questi paesi una delle industrie più facili da realizzare è quello del commercio di donne da avviare alla prostituzione sui ricchi mercati occidentali. Il fatto che la merce sia rappresentata da esseri umani, ragazze albanesi, moldave o di altri paesi dell’Est, è del tutto indifferente agli imprenditori-criminali che dopo anni di depressione economica badano più all’aspetto economico che a quello umanitario.
L’aspetto umanitario è altrettanto trascurabile per i consumatori finali[1] che considerano tali donne, né più né meno, come un prodotto da comprare e consumare velocemente[2].
La differenza sta nel fatto che i consumatori occidentali considerano le giovani donne un oggetto sessuale molto appetibile, lasciando loro una parvenza di femminilità; i mercanti invece, una volta provata personalmente la merce, considerano le “puttane” un prodotto dalla cui vendita possono trarre grossi guadagni[3]. In questo senso disprezzano profondamente sia i consumatori[4] che riescono a vedere in quelle donne un’attrattiva sessuale, sia i contadini produttori costretti a vendere la merce a poco prezzo. Un’adolescente di circa 14 anni viene acquistata dalla famiglia di origine per l’equivalente di due-tremila euro ma, giunta sui mercanti occidentali e diventata prostituta, la stessa ragazza garantisce al suo proprietario 500 euro al giorno[5] ed il suo valore sale rapidamente a dieci-quindicimila euro[6],[7].
L’abbattimento delle tariffe, determinato dalla sovrabbondanza di “prostitute” importate dai paesi dell’Est, realizza il paradosso per il quale il proletario-consumatore occidentale consuma a poco prezzo una merce venduta ad un prezzo ancora più basso dal proletario-produttore dei paesi dell’Est.
Da povertà assoluta e sovrappopolazione nasce un altro traffico di giovani donne destinate alla prostituzione: quello delle nigeriane costrette a vendersi per pagare il riscatto a chi le ha fatte venire in Italia. Col nome di “agenzie”, individui senza scrupoli offrono un pacchetto tutto compreso: viaggio aereo, permesso di soggiorno, promessa di un lavoro sicuro, il tutto per l’equivalente di 30-35 mila euro. Arrivate a destinazione, l’unico lavoro con cui possono sperare di riscattare il debito è il marciapiede, altrimenti iniziano percosse e sevizie.
L’obiezione alla nostra tesi, che pedofilia e prostituzione non scompaiono con il venir meno di merce umana a basso costo, si può facilmente confutare col fatto che, in quest’ultimo caso, a scomparire è la riduzione dell’uomo ad un prodotto merce a bassissimo costo.
Il bambino offerto (dalla sua stessa famiglia) in comodato d’uso alla famosissima pop star, garantisce alla famiglia stessa un tale introito economico da non potersi più parlare di merce e sfruttamento. Le madri che si offrono su internet insieme alle loro figlie minorenni, sono più piccole imprenditrici che schiaviste. La madre che convince le figlie di quattro, sei e dieci anni a “giocare” col proprio datore di lavoro, il padre che cede la figlia ad un suo creditore per alcuni incontri sessuali, realizzano una forma perversa di baratto.
Perché si abbia una vera riduzione in schiavitù, per lo sfruttamento di individui nell’industria della prostituzione, occorre la sinergia di povertà e sovrappopolazione che, fornendo merce a basso prezzo, alimenta sé stessa perché non permette ai produttori di prole[8] di accumulare capitale ed acquisire nuovi mezzi di produzione che non siano gli organi genitali.
[1] Spesso “rispettabili padri di famiglia” delle nostre città.
[2] Ovviamente con le dovute eccezioni: si è avuto più di un caso di cliente che innamoratosi di una prostituta è riuscito, non senza fatica e rischio, a toglierla dalla strada.
[3] “Le femmine? quella merce preziosa è salva, sulle puttane ci possiamo contare” – Conversazione, intercettata dalla Polizia, tra due criminali albanesi.
[4] “Bastano tre milioni di albanesi per sottomettere sessanta milioni di italiani, tutti c….., li f…… da sette anni” – Dice un capo clan albanese in un’altra conversazione telefonica.
[5] Con punte, per ragazze particolarmente avvenenti, di 800 euro al giorno.
[6] Il crocevia del traffico (la tratta delle bianche) è la città di Skopje in Macedonia, ex Jugoslavia. Qui avverrebbe un vero è proprio mercato di schiave di diversa nazionalità: oltre alle albanesi verrebbero vendute e comprate giovanissime donne provenienti da Polonia, Russia; Bulgaria e Romania.
[7] Nel 2002 anche l’Italia è diventata centro di smistamento di baby-prostitute provenienti dall’Est: migliaia di bambine albanesi, moldave, rumene, bulgare, ucraine, ma anche africane e cinesi, vendute dalle famiglie, rapite o adescate da bande criminali con la falsa promessa di un lavoro, arrivano nel nostro paese per essere trasferite in vari paesi europei. Mentre alcune sono solo di passaggio, altre si fermano qualche settimana (tre in genere), in particolare tra Modena e Rimini, dove ogni mese arrivano 83 nuove piccole schiave del sesso. Questa nuova realtà è emersa dalla ricerca “Il traffico di minori: piccoli schiavi senza frontiere” condotta da Terres Des Hommes in collaborazione con Fondazione Lelio Basso, Save the Children Italia ed Associazione Parsec.
[8] I proletari.
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