I Costruttori di Piramidi (Lavoro Minorile Parte Prima)
Ai nostri tempi non esistono più fabbriche di piramidi, anche perché non si troverebbero facilmente schiavi adulti per la loro costruzione. Esistono però le multinazionali o comunque industrie di ogni tipo per le quali la manodopera a bassissimo prezzo significa la possibilità stessa di esistere.
La disponibilità di lavoratori a costo vicino allo zero (lavoro minorile) viene fornita ancora una volta dalla sovrabbondanza di bambini. Secondo i calcoli dell’Unicef e dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro) i bambini lavoratori sono nel mondo almeno 250 milioni, di cui 44 solo in India. Nel Bangladesh, un quarto di tutta la popolazione infantile è impiegato nell’industria tessile[1]. In Thailandia, il 32% di tutta la forza lavorativa è rappresentata da bambini utilizzati nella produzione di articoli ed oggetti per l’esportazione.
Nelle Filippine i bambini lavoratori ufficiali sono 220 mila, in Nigeria 12 milioni, in Brasile 7 milioni. Trovare un lavoro consente a questa enorme massa di minori di sopravvivere ed offre alle loro famiglie la possibilità di continuare a produrre altri bambini, anch’essi inevitabilmente destinati a diventare baby lavoratori.
Il problema si complica quando il bambino perde del tutto la sua figura di essere umano, detentore di diritti, seppure minimali, e diventa un vero e proprio prodotto da vendere e acquistare: il business degli schiavi è diventato l’affare del XXI secolo; oltre che per l’adozione o lo sfruttamento sessuale, molti di questi schiavi bambini sono destinati al mercato del lavoro; il loro prezzo va da uno a duecento dollari.
In alcuni casi il loro traffico assume le caratteristiche della tratta degli schiavi negri di antica memoria. Tutti ricordano la nave “negriera” carica di bambini e ragazzi, la cui presenza fu segnalata nell’aprile del 2001 nel Golfo di Guinea e spostamenti in massa di piccoli schiavi negri vengono denunciati mensilmente alla frontiera tra il Burkina Faso ed il Benim, alle cui piantagioni di cotone i bambini sono destinati così come i loro antenati lo erano a quelle degli Stati Uniti del Sud.
Il problema dei baby lavoratori sarebbe rimasto uno dei tanti fatti di cronaca, se non si fosse verificato che una delle industrie che maggiormente utilizzano il lavoro minorile è quella che fabbrica i palloni da calcio.
L’India esporta annualmente palloni per circa 30 milioni di dollari, ma è il Pakistan che con le sue migliaia di piccole fabbriche, tutte intorno la cittadina di Sialkot, fabbrica l’80% dei palloni di cuoio di tutto il mondo: un totale di 35 milioni di sfere l’anno. Molte famose multinazionali occidentali sono state accusate, a torto o a ragione, di utilizzare manodopera minorile a basso costo attraverso i loro fornitori esteri.
L’esistenza di lavoratori e schiavi bambini deriva, secondo la nostra tesi, dalla sovrabbondanza della loro produzione la quale a sua volta è frutto della povertà delle famiglie da cui tali bambini vengono prodotti. In quanto valore, il bambino rappresenta per la famiglia che lo produce la possibilità di sopravvivenza e di ulteriore produzione.
Una conferma a questa tesi è che quando esistono povertà e sovrapproduzione di bambini, ma non esiste nessuna industria che possa assorbire manodopera minorile, nascono nuove “forme di industria” appositamente in grado di assorbire baby-lavoratori.
Povertà e sovrabbondanza di prodotto-bambino generano industria e business che a loro volta reclamano la produzione di ulteriori bambini per tale industria.
Il basso prezzo pagato ai proletari produttori impedisce loro di acquistare mezzi di produzione diversi dagli organi genitali da loro già posseduti ed alimenta il mercato generando anzi la necessità di creare nuove “forme di industria” per assorbire l’unico prodotto producibile: bambini.
Quella dell’accattonaggio è l’esempio più evidente. Nei Paesi Balcanici, distrutti da vicende politiche e di guerra, non esistono industrie in grado di assorbire i bambini in eccesso. Nei Paesi confinanti, come l’Italia, la possibilità di collocare manodopera infantile a basso costo non è semplice come nei Paesi Asiatici, anche perché in alcune regioni dell’Italia esistono situazioni di povertà e sovrabbondanza di prole sovrapponibili a quelli dei Paesi Balcanici.
I baby accattoni, comprati per poche migliaia di euro dalle famiglie di origine e sfruttati per chiedere l’elemosina ai nostri semafori, rappresentano un business creato su misura per collocare nella situazione socio-economica italiana il prodotto bambino.
A conferma di ciò, in alcuni casi erano le famiglie di origine, di una cittadina al centro del Marocco, a pagare[2] i trafficanti di minori pur di piazzare il proprio prodotto; una volta in Italia, il ricavato del lavoro quotidiano di lavavetri ai semafori veniva in parte trattenuto dagli sfruttatori ed in parte lasciato ai ragazzini perché potessero inviarlo alle loro famiglie[3]. Sempre in mancanza di attività produttive di qualsiasi genere, in cui possa trovare sfogo la sovrabbondanza di prole, è la guerra ad assorbire il prodotto in eccesso.
[1] Se un incendio scoppia in una di queste fabbriche dove sono stipate per ogni turno circa 1000 persone e l’unica porta di uscita è chiusa per ragioni di “sicurezza” è ovvio che morti e feriti, soprattutto bambini, possono essere moltissimi: 110 decessi negli ultimi anni; 50 nel solo episodio avvenuto a Shibpur, 30 chilometri ad est della capitale Dacca.
[2] Dai tre ai cinquemila euro.
32] L’aspetto criminale, legato alle sevizie a cui le bande di sfruttatori sottopongono i loro schiavi, quando l’incasso di una giornata di accattonaggio viene giudicato insufficiente, non deve far dimenticare il problema di origine ed il fatto che comunque, con il loro “lavoro”, contribuiscono a mantenere la famiglia d’origine ed a permettere a quest’ultima di produrre altra prole destinata anch’essa allo sfruttamento oppure, se provvista dei geni dell’aggressività, a diventare a sua volta sfruttatrice.
Segue in :
2) I Bambini Soldato (Lavoro Minorile Parte Seconda)
3) Scarti di Produzione (Lavoro Minorile Parte Terza)
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