Epidemie di Peste
Da un certo momento in poi datato intorno al 40.000 a.C. il nostro antenato, che ormai si è evoluto ad Homo Sapiens Sapiens, lascia la foresta equatoriale africana e si diffonde in tutte le zone del pianeta eccetto l’antartica.
Il processo di colonizzazione della terra si completa intorno al 10.000 a.C. Secondo un grande virologo in questa fase precoce dell’esistenza umana dall’inizio del Pleistocene fino al 10000 a.C. infezioni da microrganismi adattati a vivere sull’uomo erano pressoché inesistenti, solo quando l’agricoltura soppiantò la raccolta di cibo e più larghe e stabili comunità presero il posto di piccole bande vaganti , un’infezione virale acquisita accidentalmente trovò una opportunità per estesi trasferimenti ad altri individui e per il suo sviluppo a malattia specificamente umana[1].
Come al solito le cose non sono così semplici ma sta di fatto che con la nascita delle prime grandi città compaiono anche le prime grandi epidemie[2]. Esse sono causate da agenti patogeni ad alta trasmissibilità ed alta virulenza: il risultato è il divampare del morbo in pochi giorni ed il grandissimo numero di morti.
Uno dei primi esempi è la cosiddetta “peste” di Atene del 429-430 a.C. narrata da Tucidide[3]. Iniziata in Etiopia ed attraversati Egitto e Libia sbarcò al Pireo, il porto di Atene. Di lì puntò sulla città uccidendo un quarto della popolazione. Di che malattia si trattasse non ci è dato saperlo, qualcuno ipotizza fosse morbillo[4].
La correlazione tra trasmissibilità e virulenza per cui più un microrganismo (virus in particolare) diviene trasmissibile più aumenta la sua virulenza[5] non è da tutti ammessa[6], ma sta di fatto che le grandi epidemie iniziano proprio con il nascere dei primi grandi agglomerati urbani e troveranno sempre il loro epicentro nelle grandi città.
Così Tito Livio[7] ci narra dell’epidemia che scoppiò a Roma nel 387 a.C. e un’altra si ebbe nel 65 a.C. Ma entrambe furono ben poca cosa di fronte alla peste di Antonino del 165-180 d.C.; portata nel mediterraneo dalle truppe che avevano combattuto in Mesopotamia causò la morte di un terzo dell’intera popolazione dell’impero. Si trattava forse di un’epidemia di vaiolo.
Un’altra delle azioni umane che favorirono lo sviluppo di malattie contagiose fu il rapido spostamento di grandi masse di individui da un punto all’altro della terra, soprattutto il grande sovraffollamento che si realizzò dovunque vi furono degli eserciti.
Troppi sono gli esempi analoghi a quelli sopra riportati perché si possa negare la stretta relazione di causalità tra sovraffollamento ed epidemie.
D’altra parte nei mammiferi da laboratorio il solo fatto di aumentare la densità, ferme lasciando tutte le altre condizioni (disponibilità di cibo – pulizia – temperatura) aumenta il tasso di mortalità per malattie[8].
Inoltre per quanto i virus non possano replicarsi fuori dell’ospite, tuttavia essi passano nell’ambiente da ospiti malati e sopravvivono il tempo necessario per infettare nuovi ospiti[9].
Sovrappopolazione e movimento favoriscono la contaminazione ambientale e la trasmissione degli agenti patogeni.
Col progredire nel processo di civilizzazione l’esistenza di grandi masse di individui fu sempre più legata al risultato dei raccolti e quando questi in tempo di carestia erano scarsi, privata del necessario sostentamento una gran parte della popolazione diventava facile preda di virus e batteri.
Guerra, carestia ed epidemia divennero col passare del tempo i tre fattori di regolazione della popolazione umana[10], fattori che sono gli stessi dei dolorosi giudizi [11] di cui parla nella Bibbia il profeta Ezechiele[12]: la spada (guerra), la carestia, la pestilenza (epidemia); il quarto, la bestia selvaggia (predazione) aveva da tempo cessato di funzionare per l’uomo
Un esempio di quanto disastrosi per la civiltà possono essere guerra, carestia ed epidemia quando agiscono in sinergia si verificò sotto l’imperatore Giustiniano. In soli due anni 542 – 543 d.C. si ebbe un’altissima mortalità per il verificarsi simultaneo dei tre eventi[13].Epidemie di peste. L’epidemia era probabilmente peste bubbonica, la diminuzione della specie umana fu tale che in alcune più remote regioni del globo non è stata mai più riparata.
[1] Sir Mac Farlane Burnet Virus as organism. Pag.32. Harvard University Press. 1954
[2] May R M Ecology and evolution of host-virus association. Pag. 58-67 in Emerging Viruses. Edito da Stephen S. Morse. Oxford University Press 1993
[3] Tucidide La guerra del Peloponneso. BUR 1994 Milano.
[4] Shreewbury J F D,The plague of Athens Bullettin of the History of Medicine(XXIV)!950 pag1-25.
[5] May R M, Op.Cit. pag.58-67
[6] Secondo molti scienziati se si facilita la trasmissibilità di un virus (o di un batterio) lo si rende più virulento, perché anche se l’ospite si ammala e muore in breve tempo, la frequenza dei contatti, favorendo la trasmissibilità, consente al microrganismo (virus o batterio) di passare ad un nuovo ospite prima che l’ospite originario muoia. Ewald P W. Evolution of Infectious Disease Oxford University Press 1994.
[7] Tito Livio Ab Urbe Condita VIII, 18(Storia di Roma dalla sua fondazione. Classici Della BUR. Vol.IV pag.53-5 1980).
[8] David Lack The factors limiting mammals. In The natural regulation of animals number. pag.177 Oxford at Clarendon Press.1954.
[9] Pirtle EC, Beran GW Virus survival in the enviroment.Revue scientifique et technique 10(3)933-48(1991).
[10] Lack D Op. cit. pag. 175-6
[11] Lack D Op. cit. pag. 176
[12] Ezechiele 14:21
[13] Procopio Le Guerre Persiane. II,22:639
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