La Mucca Pazza
Nel fenomeno della mucca pazza, se qualcuno può essere definito pazzo, questo è senz’altro l’uomo. La mucca, infatti, non ha certo la capacità di ragionare, mentre l’uomo ha deliberatamente deciso di trasformare un erbivoro in un carnivoro, anzi in un cannibale, visto che ha dato da mangiare ad un ruminante i resti trasformati di individui della sua stessa specie: pellame, grassi, collagene e parti muscolari, i cosiddetti carnicci (La Mucca Pazza)
La risposta della natura è stata il prione[1] che non è né un batterio né un virus. Il prione è una semplice proteina, Protease resistente protein (Prp), nata per modificazione chimica o spontanea, del gene che la codifica (PrNP). Quando la proteina prionica viene a contatto con quella sana, nei tessuti cerebrali dell’animale colpito dal morbo della mucca pazza, la modifica.
L’accumulo di proteine infettive riempie di buchi il cervello[2]. La cosa straordinaria è che, né un virus né un batterio, sarebbero potuti sopravvivere ai processi mediante i quali i resti di animali vengono trasformati in mangimi. Il prione, semplice proteina, può invece essere trasferito anche nei mangimi essiccati. Per quanto anche in questo caso potremmo dare la responsabilità al caso, tuttavia, di tutti i possibili casi, la natura ha selezionato un qualcosa di altamente specifico.
Il prione non può essere definito un microrganismo, ma alla fine, superando le insidie dei trattamenti a cui l’uomo sottopone le parti di scarto degli animali, agisce con gli stessi mezzi di virus e batteri proprio contro l’azione umana che trasforma degli erbivori in cannibali. D’altra parte, mentre l’uomo tende ad azioni sempre più complesse per i virus non c’è stato uno stabile aumento in complessità o comparsa di nuovi poteri, ma con il prione la Natura tenta di far rispettare le sue leggi con un semplice meccanismo di autoreplicazione.
[1] Nasi S., Meno di un virus. In: Il virus Stratega. Edito da F. Dianzani. Dossier Scienza, inserto redazionale allegato al numero del 31 Dic.1988. Giunti Editore Firenze.
[2] Nell’uomo la patologia prende il nome di morbo di Creutzelfedt-Jakob e si manifesta all’inizio con problemi psichiatrici (depressione, ansietà, psicosi). Nel giro di sei mesi compaiono i primi segni della malattia: movimenti anomali e disordinati del corpo che evolvono fino a rendere difficile camminare.
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