CARATTERISTICHE DELL’ HIV
Al pari degli altri virus, l’HIV deve essere considerato come un organismo autoriproducentesi, variabile e capace di sopravvivere come ogni altro essere vivente. L’HIV fin dall’inizio dell’epidemia di AIDS si è caratterizzato per una pressoché uniforme mortalità associata ad una prolungata trasmissibilità. Questo fa dell’HIV un caso a parte e contraddice quanto abbiamo visto accadere quando un virus sconosciuto viene a contatto con una popolazione vergine per quel virus.
Ricordiamo i casi degli Amerindi con il virus del vaiolo e dei conigli d’Australia con quello della Mixomatosi. All’inizio c’è un’epidemia violenta che distrugge una buona parte della popolazione fino a che l’ospite evolve verso una maggiore resistenza ed il virus verso una minore virulenza.
Ciò si accorderebbe con l’affermazione di Paul Ewald[1]: “Quanto più un virus è trasmissibile tanto più diventa virulento e viceversa”.
Con l’HIV le cose vanno diversamente e per quanto la virulenza del microrganismo sia inizialmente scarsa, essa si traduce immancabilmente con la morte dell’ospite. Anche la bassa trasmissibilità del virus viene ampiamente bilanciata dal lungo periodo in cui questa si esprime per cui il risultato finale (numero di individui infettati da ogni ospite) può essere lo stesso di quello di un’epidemia a “maggiore” trasmissibilità.
La comparsa degli HIVs e dell’AIDS rappresentano un grande progresso evolutivo se visti dall’ottica dei microrganismi e ciò sembra contrastare apertamente con quanti affermano che la selezione dei virus è intensa ma completamente cieca e volta alla pura sopravvivenza.
Che ogni specie vivente tenda a riprodursi ciecamente anche a discapito di altre specie è talmente vero che persino l’uomo, che pure dovrebbe essere dotato di una sua propria intelligenza, soggiace tuttora a questo imperativo.
Interagendo con l’uomo l’HIV entra a far parte di un insieme in cui entrambi i componenti, Uomo e Virus, regolano reciprocamente la tendenza a sopravvivere e moltiplicarsi. Svolgendo un proprio ruolo nel riportare l’omeostasi nell’ecosistema il Virus partecipa dell’Intelligenza della Natura.
L’essere umano essendo dotato di una intelligenza autonoma rispetto a quella della natura può decidere se operare in modo difforme od addirittura contrario a quest’ultima[2]. Quanto più l’opera dell’uomo diventa incisiva nell’alterare le Leggi della natura, tanto più favorisce un’intensa selezione di virus che acquisiscono sempre nuove capacità strategiche per sopravvivere e moltiplicarsi.
In questo senso il Virus partecipa dell’Intelligenza Umana.
L’avanzato grado evolutivo degli HIVs può trovare una spiegazione logica se riflettiamo sul fatto che esiste una enorme eterogenicità di ceppi virali sia tra i SIVs che tra gli HIVs.
Questo dimostrerebbe che soprattutto i SIVs siano stati sottoposti, in seno alla popolazione di scimmie, ad una forte pressione selettiva che abbia ottimizzato il successo evolutivo dei SIVs prima ancora del loro passaggio ai primati umani.
Lo stesso apparire dell’HIV-1 e dell’HIV-2 come risultato di un duplice, quasi simultaneo, salto di specie sarebbe, come abbiamo già visto, il risultato della competizione di più SIVs per accaparrarsi il mercato della popolazione umana.
Questo spiegherebbe anche la relativa alta specializzazione degli HIVs nel diffondersi in seno ai nuovi ospiti.
Che cosa sarebbe infatti successo se gli HIVs si fossero comportati come il Mixoma virus (con i conigli) od il vaiolo (con gli Amerindi)? Avremmo avuto improvvise epidemie in seno a ristrette comunità viventi nei luoghi di origine dei SIVs.
Tali epidemie avrebbero ucciso gran parte degli individui colpiti ed in tal modo si sarebbero autoestinte. Se invece supponiamo che i SIVs siano stati sottoposti ad un’intensa pressione selettiva, la spinta evolutiva ha condotto, come spesso accade, verso tipi riproduttivi che diano un’economia bilanciata di domanda ed offerta tra specie predatrici e specie predate.
Quando è avvenuto il duplice salto di specie dai SIVs all’HIV-1 ed HIV-2 questi due virus si erano probabilmente già evoluti verso uno sfruttamento economicamente più vantaggioso dell’ospite. Il corollario di ciò è che una loro ulteriore evoluzione sembra impossibile almeno nel breve tempo.
Abbiamo visto come cinquant’anni fa Burnet aveva ipotizzato quali dovessero essere le caratteristiche di un nuovo virus per poter produrre un’epidemia in un paese civilizzato.
Esclusi i virus respiratori, il nuovo microrganismo doveva essere in grado di infettare superfici mucose intatte in minima dose[3]. La cosa è molto difficile e probabilmente l’HIV non è in grado di farlo. A facilitare l’azione di quest’ultimo è intervenuto però l’uomo con le sue abitudini: nei rapporti anali od in quelli vaginali promiscui, con infezione cronica della cervice uterina, non siamo certo di fronte a mucose intatte.
Se poi il virus lo introduciamo direttamente nel sangue e più esattamente in una grossa vena e queste introduzioni le ripetiamo giornalmente, come nella tossicodipendenza, si capisce bene come sia sufficiente una carica virale non elevata per causare l’infezione.
Considerata l’esistenza di moltitudini di virus sconosciuti presenti nella riserva animale, le azioni e le abitudini umane la sovrappopolazione, possiamo dire che l’emergere degli HIVs ed il diffondersi dell’epidemia di AIDS è un qualcosa che “doveva” accadere.
[1] Ewald P.The Evolution of Infectious Disease. Oxford U. Press 1994.
[2] Non dimentichiamo che Adamo ed Eva, progenitori dell’uomo, mangiando il frutto proibito da Dio hanno acquisito la conoscenza del bene e del male ed hanno la capacità di infrangere le Leggi che garantiscono l’omeostasi nell’ecosistema.
[3] Mac Farlane Burnet. The Natural History Of Infectious Disease. Pag.359 Cambridge at the University Press 1954
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