Salto di Specie da Riserva Animale
Parte Seconda
./. CONSEGUENZE MICROBIOLOGICHE DELLA CIVILIZZAZIONE UMANA
Un altro esempio di come l’azione dell’uomo possa influenzare il diffondersi di epidemie ci viene dalla storia della conquista delle Americhe da parte degli spagnoli. Quando si pensa a tale impresa, comunemente si ritiene che essa fu possibile solo grazie alla superiorità militare degli abitanti del vecchio mondo nei confronti degli Aztechi e degli Incas.Questa teoria è vera se si considera che gli spagnoli, oltre ai cannoni, portarono involontariamente con loro quelle che secondo la terminologia odierna vengono definite armi batteriologiche.
I veri protagonisti di quella conquista non furono le armi da fuoco, ma virus e batteri. Per primo, nel 1520, attaccò il virus del vaiolo uccidendo, tra moltissimi altri Aztechi, anche il nipote di Montezuma, la notte stessa che questo si stava preparando a dare l’assalto finale ai quattrocento spagnoli capeggiati da Cortez costretti ormai sulla difensiva in un luogo aperto e vulnerabilissimo.
La mossa del virus fu altamente strategica perché lo sconforto fra gli Aztechi, alla morte del loro capo, fu tanto fatale che essi rinunciarono all’attacco. Cortez ebbe così modo di riorganizzasi, trovare alleati, attaccare e distruggere la capitale Tenochtitlan[1].
A seguito degli spagnoli il vaiolo continuò la sua inesorabile avanzata nel Guatemala e di qui nel Perù consentendo a Pizzarro la conquista della capitale Cuzco. Oltre all’enorme numero di morti che il virus causava tra gli Amerindi, il fatto che gli spagnoli venissero risparmiati, venne interpretato dagli Aztechi prima e dagli Incas poi, come il segno che gli dei stavano ormai dalla parte degli spagnoli. Come altrimenti si potrebbe spiegare la vittoria di pochi centinaia di uomini su migliaia di individui?
Dopo il vaiolo venne il morbillo, poi forse un’epidemia di tifo, ed infine quasi sicuramente una di influenza. Le conseguenze demografiche furono disastrose: da 25-30 milioni quali erano in Messico al momento dell’arrivo di Colombo ad Hispaniola nel 1492, nel 1568 gli Amerindi si erano ridotti a circa 3 milioni per toccare il valore più basso di circa 1.6 milioni nel 1620. Lo stesso avveniva anche tra gli Amerindi del Perù[2].
Precedentemente all’arrivo degli spagnoli, le popolazioni locali avevano conosciuto malattie infettive (di cui si trova traccia nei codici Aztechi) ma esse non avevano mai avuto la gravità delle epidemie esplose spessissimo nel vecchio mondo. La vastità del territorio a disposizione degli abitanti con la relativa loro scarsa densità, ed il basso numero di animali domestici, quale riserva animale di batteri e virus, avevano impedito la nascita di virus ad alta virulenza.
Numerosi sono gli esempi più recenti di come l’incontro di una comunità con un virus nuovo possa avere effetti catastrofici. Così ad esempio un’epidemia di morbillo causò la fine di due tribù indiane in Sud America ed Alaska.
Recentemente, infine, l’uomo ha iniziato un altro tipo di azione che potrebbe avere conseguenze molto gravi: l’invasione di nicchie ecologiche[3], intendendo con questo termine zone della terra dove le condizioni dell’ecosistema sono quelle dei primordi. In questo modo l’uomo viene a contatto con virus sinora inaccessibili facenti parte di riserve del mondo animale. Gli effetti sono evidenti se si pensa che con questa modalità hanno effettuato il salto di specie dalla riserva animale all’uomo, virus come l’HIV, responsabile dell’AIDS e quello dell’Ebola.
Virus (e batteri) presenti nelle “nicchie ecologiche” e divenuti per selezione genetica endemici alle popolazioni animali (es. scimmie) che vivono in quelle zone, sono completamente sconosciuti all’uomo.
Quando l’essere umano, sempre per l’opera di deforestazione o per la manipolazione a qualsivoglia scopo di animali vivi o morti ivi residenti, entra in contatto con questi virus sconosciuti, le conseguenze sono assolutamente imprevedibili e spesso drammatiche.
La necessità di alimentare masse sempre più grandi di individui fa sì che si costituiscano delle riserve animali artificiali con due caratteristiche specifiche: la prima è che virus e batteri presenti nelle riserve animali naturali sono sconosciuti in quelle artificiali, la seconda che in queste ultime si realizza un grandissimo sovraffollamento.
La più grande riserva naturale di virus influenzali è rappresentata dalle oche selvatiche e dagli uccelli acquatici in genere, nei quali i microrganismi non causano malattie.
Quando però i virus influenzali passano in ospiti suscettibili, come i polli di allevamento, subiscono una specie di riassorbimento delle singole componenti virali che li rendono particolarmente virulenti o addirittura letali.
Attualmente ci sono centinaia di migliaia se non milioni di polli[4] in attesa di essere infettati da virus che con un solo punto di mutazione possono diventare letali una volta trasmessi all’uomo.
Analogamente anche i maiali giocano un ruolo essenziale nel trasferire i virus dell’influenza dall’uomo agli uccelli acquatici e viceversa, essi agiscono cioè come ospiti intermedi.
Di nuovo vediamo che un’azione umana, quale un allevamento intensivo di polli e maiali, possa costituire una straordinaria riserva di virus (influenzali) che, a seguito del riassorbimento delle loro componenti, possono diventare particolarmente virulenti.
[1] Mc Neill WH, Patterns of Disease Emergence in History. In Emerging viruses. Op. cit. pag.29-30
[2] Mc Neill W H , Plagues and peoples. Op. cit. pag.180.
[3] Cameron T W M; Parasitism-The Ecological Niche. In Parasites and Parasitism. Pag.25-37. London: Methuen & Co. LTD: New York: John Wiley & Sons, INC.
[4] Mc Neill WH, Patterns of Disease Emergence in History. In Emerging viruses. Op. cit. pag. 40-3
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