# 60 Mamme Assassine Quinta Parte
Mamme Assassine Quinta Parte
Così come è avvenuto in altri parti del mondo, ed in particolare negli Stati Uniti, casi di mamme assassine si sono susseguiti in Italia con una frequenza sempre maggiore, quasi mensile, dando al fenomeno il carattere di una vera e propria epidemia che non ha risparmiato nessuna classe sociale.
Tuttavia la categoria di mamma assassina non si sarebbe forse del tutto affermata, se non vi fosse stato il caso di Cogne.
Sull’onda delle emozioni immediate, Anna Maria Franzoni, la mamma accusata di aver ucciso con un corpo contundente il proprio figlio Samuele di tre anni, si era lasciata andare ad un gesto particolarmente volgare: il dito medio alzato, a significare “andate affan…”, rivolto a telecamere e fotografi[1] che il primo giorno di inchiesta l’aspettavano fuori dalla caserma di Cogne.
Superato l’impatto, tuttavia, la Franzoni diventa progressivamente la perfetta protagonista di quella che più che una tragedia preferiamo considerare una telenovela od un giallo all’italiana. Come tutti i gialli all’italiana l’inchiesta è al momento giunta ad un punto morto e non è del tutto improbabile che nessuna responsabilità possa in futuro essere accertata. Proprio a seguito dell’impossibilità di accertare in breve tempo la verità, il giallo di Cogne, cioè di una mamma accusata di aver massacrato il proprio figlio, è riuscito per lunghissimo tempo a tenere viva l’attenzione dei media con il suo corollario di interviste, veleni, calunnie, accuse reciproche, pareri di esperti, criminologi, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, giornalisti, scrittori, sacerdoti, attrici, nullafacenti, personaggi non meglio identificati.
A proposito di commenti sul caso di Cogne segnaliamo:
- “La sindrome di Munchausen[2] potrebbe avere un ruolo importante nel delitto di Cogne”. Gip di Aosta che si è occupato del caso.
- “Compatibilità del profilo dell’offender con la figura della signora Anna Maria Franzoni nell’omicidio di Cogne: alta”. Massimo Picozzi, Psichiatra, consulente della Procura di Aosta.
- “Dio perdona qualunque delitto ma la misericordia viene dopo la verità”. Don Claudio Roda, parroco di Monteacuto Vallese (Bologna), paese di origine di Anna Maria Franzoni.
- “Sono tutte queste suggestioni che orientano verso il riconoscimento di una patologia depressiva, probabilmente inserita su una personalità fragile dipendente”. Massimo Picozzi, Psichiatra, sempre a proposito di Anna Maria Franzoni.
- “Vi è rilievo di come la Franzoni indossasse indumenti intimi poco puliti al momento del delitto: non ha valore assoluto in sé, ma assume significato nella valutazione globale di una giovane donna esteriormente curata nel proprio aspetto; ciò a voler significare una problematica del vivere e relazionarsi, dove in superficie ci si mantiene correttamente (la dieta da poco iniziata) ma poco in profondità e con trascuratezza”. Massimo Picozzi.
- “Quelle contraddizioni non sono bugie, sono i ricordi che non ha. Confabula, inventa. Fa quello che fanno i bambini incluso quel ripetere: non sono stata io. Ma non basta, la frase detta al marito, quando Samuele respirava ancora: – Facciamo un altro figlio e poi andiamo via di qui – è agghiacciante detta da una madre. La signora Lorenzi, tornata bimba, si è comportata come una bambina che abbia rotto il bambolotto e chiede che gliene comprino un altro. Lo stesso atteggiamento che ha ora in carcere, quando chiede di essere mandata a casa o, gli scoppi di rabbia perché il Gip le contesta le affermazioni. Il non curarsi di seguire Samuele sull’elicottero e darlo per morto quando ancora respirava come se fosse un problema ormai risolto od un giocattolo rotto”. George Palermo, Direttore della Sezione di Psichiatria Forense e Docente di Criminologia presso il Medical College del Wisconsin. “L’ho vista nell’intervista televisiva e l’ho ascoltata – racconta il Prof. Palermo – La vocina, il modo di esprimersi, sembrava regredire allo stato infantile ogni istante di più; più che addolorata appariva impaurita da quello che le era accaduto e che stava continuando a succederle. Quel ripetere:-Non sono stata io- come una cantilena, una filastrocca per esorcizzare il male. Il male che stanno facendo a lei, e non quello che qualcuno ha fatto al piccolo Samuele. Sono convinto – conclude George Palermo alla domanda se la Franzoni possa mai ricordare – che ci sia un modo per raggiungerla in quella sorta di casetta in cui metaforicamente se ne sta nascosta. E sono certo che la signora possa ricordare.
[1] Curiosamente un gesto identico aveva fatto, sempre rivolto a giornalisti e fotografi, Erika De Nardo, la mattina dopo dell’omicidio della mamma e del fratello.
[2] La sindrome di Munchausen fu descritta per la prima volta nel 1951 da R. Asher ed i suoi ed è caratterizzata da “una più o meno conscia simulazione di malattie, coazione alla menzogna, pellegrinaggio da un ospedale all’altro; può presentarsi con sintomi addominali, neurologici, emorragici ed anche dermatologici o con febbre; i disturbi che i pazienti accusano sono finti”. Menzogne a parte, è evidente che col delitto di Cogne la sindrome di Munchausen ha poco a che vedere.
Segue in:
Vedi anche:
2) Mamme Assassine Seconda Parte
4)Mamme Assassine Quarta Parte
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