#26 Suicidi (Il Male di Vivere VIII Parte)
Suicidi
(Il Male di Vivere VIII Parte)
Di taglio completamente diverso sono i suicidi per amore. Attuati per lo più da adolescenti che trovano impossibile accettare il tradimento del partner o la sua decisione di interrompere la relazione. Talora è sufficiente un banale litigio, altre volte la rottura vera e propria della relazione.
A quattordici anni si può scoprire che lui è sposato ed ha due figli, oppure a suicidarsi è lui, quarantacinque anni, sposato con tre figli, quando la propria moglie e il padre della sua giovanissima (quindici anni) allieva ed amante, scoprono ed interrompono la loro relazione.
Ad ostacolare il rapporto “spingendo” al suicidio, possono essere i genitori di lui considerando le origini di lei troppo modeste. Lui venticinquenne di Bari, decide di farla finita con i gas di scarico dell’automobile.
In questo caso “gli esperti” sono intervenuti nella persona di un giudice che ha rinviato a giudizio i genitori del ragazzo per i reati di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona (avevano chiuso in casa il giovane impedendogli l’uso del telefono) e minacce nei confronti della ragazza. In questo modo il giudice avrebbe cercato di individuare i “responsabili” del suicidio. Questa ipotesi è tanto più inapplicabile in quanto proprio Bari è la terra della “fuitina”, la fuga di amore seguita dall’immancabile matrimonio riparatore, mezzo a cui il ragazzo, anziché suicidarsi, avrebbe potuto ricorrere con una certa facilità[1].
Concludendo la categoria “dei suicidi per amore” con i suicidi per “rifiuto”, scopriamo che l’amore centra poco con la spinta al suicidio. Ci si ammazza a tredici anni perché l’animatore di un villaggio turistico non si accorge di te.
Non ricambiata dal “suo” professore una ragazza di 28 anni ingoia una manciata di barbiturici; ricoverata nell’ospedale di Pescara e risvegliatasi dal torpore, scavalca la finestra della stanza dell’ospedale e si getta dal settimo piano.
I suicidi per rifiuto non mancano neanche tra gli omosessuali: una calciatrice, respinta da una compagna di squadra, si impicca a vent’anni. La ragazza prima di infilare il capo nel cappio, per maggior sicurezza, si era tagliata anche le vene.
Uno degli aspetti più atroci del suicidio per abbandono è il suicidio “allargato”: colui che intende suicidarsi lo fa solo dopo aver eliminato altre vite, in Italia per lo più i propri familiari. Vittime innocenti del suicidio allargato sono soprattutto i figli, mentre padre e madre, si collocano al secondo posto[2]. Alcuni casi di suicidio allargato hanno riguardato giovani donne che appena partorito, si sono suicidate insieme ai loro neonati. Chiunque abbia esperienza della depressione post-partum può rendersi conto di quanto forte sia la tempesta ormonale e la conseguente depressione che sconvolge queste giovani vite, specie se già predisposte[3].
In ogni caso di suicidio allargato che ha per protagoniste donne con i propri figli, c’è sempre una forte e da tutti conosciuta sindrome depressiva.
La maggior parte delle donne che hanno ucciso i figli e si sono suicidate, aveva manifestato delle crisi depressive.
Recentemente l’Italia si è adeguata alle statistiche di altri paesi, specie gli Stati Uniti, per i suicidi commessi da mamme dopo aver ucciso i propri figli.
Quest’ultima categoria è assimilabile a quella delle mamme assassine descritta nel paragrafo “Pollicino abita ancora qui” del capitolo “Gli angeli ribelli”, con la sola variante che in quest’ultima le mamme sopravvivono egregiamente all’uccisione dei propri figli negando l’evidenza e spesso riuscendo anche a farla franca dal punto di vista giudiziario.
In alcuni casi, ad avere problemi psichici e di anoressia è la figlia adulta, ed il suicidio allargato si trasforma in un patto suicida tra madre e figlia.
Anche un suicidio “d’onore” si può trasformare in suicidio allargato quando, accusata dai compaesani di lavorare per un telefono erotico, una donna di un paese vicino Varese si uccide sparandosi, insieme alla figlia di otto anni, ai piedi dell’obelisco intitolato ai caduti di guerra.
L’uso di armi da fuoco è abbastanza raro tra le donne ed il loro suicidio allargato avviene per lo più col salto nel vuoto, strangolamento, soffocamento, annegamento dei figli ed impiccagione propria od avvelenamento col gas di scarico dell’auto.
Quando la figlia è morta stroncata da un ictus, per commettere il suicidio allargato si sceglie la nipote la cui unica colpa, se così si può dire, è quella di soffrire di una malformazione congenita ai reni.
Pistole e fucili sono i mezzi più frequentemente usati dagli uomini, mentre nel suicidio allargato da essi commesso è spesso inclusa la partner, moglie o fidanzata che sia.
Talora, come il caso di un poliziotto algerino, il suicidio allargato può riguardare, oltre ai suoi tre figli di meno di cinque anni, anche i due di una sua vicina ed i mezzi usati possono essere diversi: la pistola per la moglie, il lancio dall’auto in corsa per i suoi figli e quelli della vicina, le ruote di un camion con rimorchio, sotto le quali getta la propria auto, per sé stesso.
L’unico torto della vittima di un suicidio allargato può essere quello di essere stata scelta come oggetto del desiderio.
Spesso c’è stata anche una relazione, matrimoniale o non, e guai per la donna che ha deciso di interromperla: la conseguenza può essere la morte, magari insieme al padre intervenuto a difenderla. Neanche i più giovani sono immuni da questo rischio e ad una ragazza di ventuno anni può capitare, dopo un banale litigio con il fidanzato di ventisei, di essere trascinata a morire sotto le ruote di un treno della metropolitana.
[1] Ma quando dopo la fuitina un pastore palermitano di trentasette anni scopre che la ragazza (venti anni) è incinta, prima inizia con l’amato bene una furibonda lite poi, si spara un colpo alla gola.
[2] Sulla tomba del padre morto cinque anni prima per un male incurabile e seppellito nel cimitero di Pinerolo (Torino), Marino Raviol ha ucciso con un colpo di pistola la madre, di settantatre anni, e si è suicidato sparandosi alla tempia. L’uomo, cinquantatre anni, sposato, era stato visitato da uno psichiatra che gli aveva prescritto degli psicofarmaci (mai assunti).
[3] Ma recentemente (Dicembre 2001) quando il proprio partner rifiuta di accettare le sue responsabilità e si defila, una stimatissima impiegata di banca al settimo mese di gravidanza si uccide impiccandosi la sera dell’antivigilia di Natale. Non potendo chiamare in causa la depressione post-partum gli psichiatri giungono alla strabiliante conclusione che ad uccidere la donna sia stata la solitudine: “Essere abbandonati mentre si aspetta un’altra vita significa che al mondo non c’è posto per me. Mentre tutti, in apparenza, si divertono lei ci manda un messaggio di estrema solitudine”.
Segue in :
9°) Suicidi (Il Male di Vivere Nona parte)
10°) Suicidi (Il Male di Vivere Decima parte)
11°) Suicidi (Il Male di Vivere Undicesima parte)
12°) Suicidi (Il Male di Vivere Dodicesima parte)
13°) Suicidi (Il Male di Vivere Tredicesima parte)
14°) Suicidi (Il Male di Vivere Quattordicesima parte)
15°) Suicidi (Il Male di Vivere Quindicesima parte)
16°) Suicidi (Il Male di Vivere Sedicesima parte)
17°) Suicidi (Il Male di Vivere Diciassettesima parte)
18°) Suicidi (Il Male di Vivere Diciottesima parte)
19°) Suicidi (Il Male di Vivere Diciannovesima parte)
20°) Suicidi (Il Male di Vivere Ventesima parte)
21°) Suicidi (Il Male di Vivere Ventunesima parte)
Vedi anche:
1°) Suicidi (Il Male di Vivere Prima Parte )
2°) Suicidi (Il Male di Vivere Seconda Parte )
3°) Suicidi (Il Male di Vivere Terza Parte )
4°) Suicidi (Il Male di Vivere Quarta Parte )
5°) Suicidi (Il Male di Vivere Quinta Parte )
6°) Suicidi (Il Male di Vivere Sesta Parte )
7°) Suicidi (Il Male di vivere Settima parte)
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